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Questa immensa notte di Chloe Moss

Milano -

Questa immensa notteCirca il 70% delle carcerate sono in prigione per crimini non violenti. Circa il 90% ha figli. I motivi per cui sono recluse sono la povertà e la droga. Quando Loredana e Mary escono di prigione, il mondo esterno non le può aiutare, ma le soffoca e le intimorisce. Tutto quello che prima evitavano – l’alcool, gli altri o la vita stessa – ora esplode e le travolge.

Il testo è stato portato in scena per la prima volta a Londra nel 2008 al Soho Theatre. L’autrice con questo testo ha vinto il prestigioso Susan Smith Blackburn Prize, premio conferito annualmente a un’autrice per un testo di nuova drammaturgia inglese.

Note di regia di Laura Sicignano

Il carcere nella testa.
Anche quando sei fuori, sei marchiata: hai il carcere nella testa. Queste due donne hanno storie comuni alla maggior parte delle carcerate. Sono vittime assassine, madri tossicomani o alcoliste; hanno storie infantili di abbandono.
Dentro, in prigione, gli è scivolata via la femminilità: sono diventate fantocci asessuati. Nonostante ciò non hanno perso dignità.
Quando escono il mondo le respinge. Allora per loro il carcere assume una dimensione uterina, protettiva: è un richiamo, una possibilità di fuga dal mondo. Non sanno affrontare il mondo perché per loro è un incomprensibile, monolitico meccanismo che le stritola. Un mondo insopportabile perché è pieno di McDonald, dove ci sono vecchiette con mani incartapecorite come zampe di passeri che mangiano un hamburger da sole. E viene voglia di morire.
Il monolocale nella periferia della grande città senza nome dove le due donne si sono rifugiate, uscite di prigione, in realtà non ha pareti. Ma lì dentro loro non sanno far altro che rivivere le relazioni e le dinamiche carcerarie. Sono amiche, madre e figlia, amanti, sorelle, nemiche… il carcere lo hanno nella testa.
I loro ritratti non sono realistici, sono iper-realistici. Sotto una spietata lente di ingrandimento appaiono squadernate le loro fragilità. Quelle fragilità che sono l’origine delle loro colpe. Storie di abbandoni infantili che si ripetono di madre in figlia. Come un fato tragico, ineluttabile, insensato. Unghie tinte da smalto sbrecciato che grattano contro i muri. Muri mentali. Eppure dentro a queste vite slabbrate, inesorabilmente sbandate, sconce e disperatamente perdenti, c’è ancora ironia.
La capacità di vedersi dall’esterno, di comprendere il proprio fallimento, ma di riderci su, di far le pagliacce tra sorrisi e lacrime che colano di rimmel da pochi soldi, ridere a squarciagola, anche se hai perso un dente per un pugno. Due fragilità che cercano di sostenersi l’una con l’altra non possono che fallire. Due fragilità chiuse in una stanza fanno solo emergere il lato egoista di sé: per difendersi. Due fragilità recluse sanno solo mentire per nascondere il lato peggiore di sé o per proteggerlo. Riescono solo a scannarsi. O forse no. O forse due donne insieme riescono a ritagliarsi un piccolo angolo di giardino, in quel monolocale di periferia, dove per un’ora al giorno batte anche il sole.

DISCLAIMER: Questo articolo è stato emesso da Teatro Filodrammatici ed è stato inizialmente pubblicato su www.teatrofilodrammatici.eu. L'emittente è il solo responsabile delle informazioni in esso contenute.

[Fonte: Milano OnLine]

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